La strana meccanica dei cumulonembi e maestri di cerimonie e campi di papaveri
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Ho sempre amato la poesia, sin da bambino. Mi sembrava un qualcosa di bello, musicale. Pensavo fosse straordinaria, quella capacità di saper rappresentare in pochi versi un mondo costituito da piccole immagini, che si rincorrevano veloci. E quando dico mondo intendo microcosmi di parole, ma che nella poesia assumono una forma sempre nuova, a volte sfuggente.
Pensieri scritti in momenti di quiete, sotto la luce fioca di una candela notturna. Spesso mi rendevo conto che questo accadeva dopo che il sole era lì, basso, pronto per il consueto congedo per lasciar spazio alla sera e alla luna. Nella poesia spesso ci si impossessa di sentimenti che per qualche strana ragione risultano essere inappagati, inespressi. Si ricerca un certo assoluto, che sappia di ogni cosa.
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