Il liuto ed il silenzio. La parabola discendente di Antonio della Porta (con un poscritto…)
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Stranezze, negli studi letterari, se ne presentano poche o molte, a seconda del punto di vista da cui ci si pone quando si valutano gli apporti creativi del singolo scrittore. Magari una manciata di versi, di quelli buoni, basta a collocare un poeta sul piedistallo, certamente addobbato con qualche petrarchesca corona d’alloro che ne attesti il valore e la “vis” artistica. E questo, ovviamente, vale anche per la diffusa congerie dei narratori. Tuttavia, in qualche caso, si assiste a una singolare amnesia, un oblio che, in tutta franchezza, ha qualcosa di arcano, di inspiegabile. Ed in effetti appare sostanzialmente incomprensibile che un letterato come il della Porta, degno d’apprezzamento e di qualche lode nell’epoca in cui visse, finisca poi con l’essere inspiegabilmente misconosciuto anche dai suoi stessi pretesi amici, quando i tempi cominciano a cambiare.[…] Coevo alla migliore stagione del bizantinismo nostrano, pur se da posizioni che lo apparentano al carduccianesimo assai più che al D’Annunzio (altra strana occorrenza, ché Antonio era abruzzese come il Vate e fu il curatore – per i tipi della Zanichelli – della prima edizione delle Elegie Romane), della Porta ebbe una produzione assai diversificata, che ne dimostra il costante impegno in quelle battaglie letterarie che contraddistinsero il periodo cosiddetto “fin de siécle”. Il della Porta, amico di De Bosis e, s’è detto, Carducci (che fu il suo primo esegeta), ma anche non respinto sodale del citato D’Annunzio e di Pascoli, abbinò ad una vena creativa feconda e torrenziale di poeta indubbie doti di giornalista impegnato, sia aderendo a proposte editoriali importanti, periodici che segnarono l’epoca in cui egli visse come Battaglia Bizantina, Nuova Rassegna, La Vita Italiana, per non parlare di qualche sua sporadica apparizione sul Marzocco, su L’arca di Noé, sul Resto del Carlino e infine sul Convito, del quale fu anche segretario redattore (forse sono di sua mano, almeno in parte, le “Cronache”); sia proponendosi come motore di riviste certo meno note (e si veda, soprattutto, La Libera Stampa, prima autonoma e poi erede del più noto Gargantua) ma indubbiamente piene di quell’entusiasmo di rinnovamento culturale che segnò – con indelebile marchio – la fine del secolo diciannovesimo. […] Sicché ingiustificato appare l’oblio a cui questo intellettuale, organico all’ambiente in cui scrisse e visse, è stato condannato dalla critica recente.
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